Pri, da dove ripartire Le elezioni politiche consentono di vedere i problemi con chiarezza La liberaldemocrazia č un progetto strategico di Oliviero Widmer Valbonesi A me sembra che le elezioni abbiano fatto chiarezza su molte questioni su cui si sono giocati gli equilibri politici di questi ultimi vent’anni. La prima è che il bipolarismo è finito in tutte le versioni, muscolari o delle estreme; che anche il terzaforzismo di interdizione non ha la forza per essere determinante, e quindi inutile, per fortuna, perché accentuerebbe il carattere particolare e corporativo del nostro modello di sviluppo. La rappresentanza dei ceti parassitari e corporativi ha distrutto il ceto medio produttivo del paese e con esso le possibilità di crescita di quella che era l’ossatura fondamentale della nostra economia. La protesta degli esclusi si è coagulata in un coacervo di antipolitica dove ci possono stare il movimento Casa Pound di estrema destra e i frequentatori dei centri sociali e dei No Tav di estrema sinistra, ambientalisti talebani e gli assistiti di uno stato assistenziale. La proposta di un salario di cittadinanza che costerebbe allo Stato circa 37 miliardi di euro fa il paio con la proposta di assunzione di circa 170.000 lavoratori nel settore pubblico fatta dalla CGIL, cioè si ripropone quello schema che democristiani e comunisti hanno portato avanti sempre nel corso degli anni votando le leggine di spesa e creando lo stato assistenziale anziché lo stato sociale. Risultato, l’ingovernabilità del paese e il rischio di involuzione democratica. Il PD che ha celebrato le primarie come se avesse vinto già le elezioni e che si trovava un patrimonio di consensi di quasi il 40% ha dissipato tutto caratterizzandosi più come un partito che ha guardato indietro, teso a recuperare i voti della sinistra movimentista e della CGIL piuttosto che accentuare quella caratteristica riformatrice e moderata che, con la sconfitta di Renzi e l’abbandono della Margherita, faceva identificare il PD come una riedizione appena aggiornata del vecchio PCI. Sempre le stesse facce in televisione e il rinnovamento anagrafico e non delle idee non servono a tranquillizzare gli elettori moderati. Il PDL, o meglio, Berlusconi, che è l’unico che in quel partito ha carisma e strategia politica, mentre il resto è segatura, se non avesse gestito le alleanze con egoismo, per la probabile sconfitta, avesse scommesso sulla vittoria e limitato la stupida esibizione con la lavoratrice dando l’impressione di non essere cambiato, avrebbe rivinto le elezioni. Se il quadro che esce è quello delineato e cioè che non esiste più il bipolarismo, che il terzaforzismo pratico è diventato un’arma spuntata, credo sia facile capire che l’unico sistema elettorale possibile sia il proporzionale che, unito al parlamentarismo previsto dalla costituzione, ridia uno spazio serio alla politica e ai partiti rinnovati secondo i dettami dell’articolo 49. Una riforma dei partiti, dunque, che devono essere governati da statuti democratici che consentano l’esercizio della dialettica interna e della nomina di organi di rappresentanza democratica e non essere movimenti gestiti da satrapi col potere di zittire ed espellere i dissenzienti o monarchie assolute con un re che decide dove portare il gregge. Non esistono alchimie diverse, la gente è stufa del fatto che la politica, per conquistare il potere, sia disposta a tutti i compromessi possibili sulle spalle dell’interesse generale del paese; e chiede che siano chiari i contorni del modello paese che si vuole raggiungere. Fra una sinistra movimentista, corporativa ed assistenziale e una destra populista, corporativa, localista, antieuropea e una protesta qualunquista, occorre ritornare alla normalità dove le forze politiche si ispirano a modelli ideali e a valori e che a livello europeo e mondiale rispondano alle tre culture fondamentali, socialiste o socialdemocratiche, popolari e cattoliche, e liberal-democratiche. Fra la visione di un liberismo sfrenato che lascia al mercato il compito di disegnare gli equilibri sociali ed economici e una visione in cui lo stato regola ogni cosa ed assiste con ammortizzatori sociali, esiste la terza via repubblicana e liberal-democratica in cui il meccanismo capitalistico viene tutelato e mediato da politiche di welfare che facciano sistema paese e risolvano gli squilibri territoriali e sociali che possono crearsi in un modello di sviluppo che produce occupazione e ricchezza da ridistribuire. Una concezione che fa del bene comune, della libertà nella giustizia sociale la sua caratteristica e che attraverso uno stato snello recupera risorse da investire nel meccanismo produttivo e nell’ammodernamento del sistema paese, quindi che coniuga rigore e sviluppo partendo da una programmazione che individua le priorità da affrontare (giovani, donne, aree sottosviluppate, ricerca ed istruzione) e non da una concertazione coi vari localismi e corporativismi del paese che consolidano gli squilibri e le povertà. Una forza europea che insegue l’idea dell’Europa politica e non alleanze con i poteri forti per elemosinare prebende. Alternative alla deriva populista che potrebbe, come dice Piero Ostellino, ricordare la Repubblica di Weimar che portò al nazismo, non ce ne sono. Quindi utilizzino le forze politiche i mesi necessari a verificare se esiste la possibilità di un nuovo governo per fare la legge elettorale proporzionale, per affrontare lo snellimento dello stato con l’abolizione delle province e la diminuzione dei parlamentari e dei costi della politica. Avviino alcune riforme come lo sgravio fiscale per le assunzioni di giovani e per la creazione di nuove imprese per almeno cinque anni. Sarebbe diverso dal dare un salario di cittadinanza, perché quello abitua i giovani a "vagabondare", mentre il primo abitua i giovani al lavoro e all’intrapresa. Il Pri deve riflettere sulla sua prospettiva. A me sembra che se vuole rilanciarsi non possa che seguire il progetto di una costituente liberal-democratica vera che con un gruppo di dirigenti arditi e coraggiosi spieghi ai cittadini la sua proposta politica e culturale. Un partito rinnovato, ma non ingrato e che non riconosce i meriti di chi ha tenuto aperto un piccolo negozio specializzato e di qualità, nell’epoca in cui tutti credevano che la soluzione fossero gli ipermercati di sinistra e di destra, ma che coniuga tradizione e rinnovamento promuovendo il merito e la volontà di chi sarà eletto democraticamente ad essere la classe dirigente. Quello che non potrà essere è l’idea che noi ci si debba intruppare nei compromessi di potere per sopravvivere, che si debba continuare in un’idea dell’autonomia in uscita verso le organizzazioni locali e l’anarchia verso l’organizzazione nazionale. L’autonomia o è reciproca legittimazione e rispetto, oppure è impercorribile perché fa sparire l’identità politica nazionale, da cui trae legittimazione un partito come il nostro. Credo anche che le fughe continue di quadri dirigenti, il pronunciamento in nome del PRI guardando alle varie alleanze locali, le dichiarazioni di superamento del PRI debbano terminare nell’unico modo in cui un partito democratico può difendere il suo diritto ad esistere; e cioè con uno statuto chiaro e severo. Chi non crede nel Pri e nel suo progetto politico se ne vada o lasci lavorare chi ci crede, non c’è nulla di più distruttivo nella vita e per la crescita di un progetto e di un’organizzazione dell’opportunismo personale e della violazione delle regole. Nel mondo la liberal-democrazia ha l’egemonia culturale e politica. Nelle grandi democrazie è l’orizzonte in cui possono specchiarsi le speranze delle giovani generazioni sempre più globalizzate; è delittuoso non organizzare politicamente questa tradizione che vive nella coscienza individuale di molti. Potremo avere momenti difficili, ma non più di questi, potremo restare per un po’ fuori dai governi e dalle istituzioni ma, se le idee sono valide, germogliano sempre e il raccolto sarà copioso. |